Difesa sindacale
 
     
 
 
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Lavoro & Precarietà

Alessandro Granata
 
“la lotta di classe non è affatto morta, […]
solo che le classi più deboli, hanno incassato da anni diverse sconfitte e, quel che è peggio, hanno perso gli strumenti per tentare il riscatto.”.
Lorenzo Gaiani. 1

“La pressione volta ad abbassare i salari e le condizioni di lavoro nell’ultimo quarto di secolo è ben più di un riflesso della competitività crescente, del declino americano, o di mercati del lavoro ingolfati[…]è in parte il risultato di una strategia concertata del capitale, del governo e della destra politica per tagliare le conquiste ottenute dai lavoratori a metà del XXsec. Il mito del neoliberismo dice che si tratta d’una politica per liberare il capitale dai ceppi dell’interferenza statale, in modo che si possa competere più agilmente sui mercati globali. Il fatto è che si tratta di una strategia per liberare il capitale dalle restrizioni cui lo ha assoggettato il movimento dei lavoratori e la regolazione sociale.” 2

La precarietà non è altro che un aspetto esteriore quasi un epifenomeno di una più vasta categoria che possiamo definire lavoro flessibile. Il precariato non è equiparabile né per qualità né per estensione all’apprendistato o ad un qualsiasi contratto di ingresso, il lavoratore precario è dovuto all’uso e abuso massiccio ed incontrollato dei così detti lavori in somministrazione o contratti flessibili.
La definizione precario è semisoggettiva, ossia oggettivamente rappresenta una parte piccola del problema, ma indulge nel descrivere uno stato soggettivo di malessere personale(legato alle condizioni di disagio materiale e sociale), perdendo di vista le categorie che più efficacemente potrebbero aiutarci nell’analisi e nella battaglia sindacale. La definizione di precario e precariato dovrebbe più pertinentemente essere sostituita rispettivamente con lavoro sfruttato e lavoratori sfruttati. Lavoratori sfruttati più degli altri grazie ad un meccanismo di perfezionamento di estrazione del plusvalore. Meccanismo perfezionato qui in Italia dalla Legge 30, ma già introdotto dal famigerato pacchetto Treu.
La maggior estrazione di plusvalore del lavoratore consiste nel poter concretizzare due dei principali obbiettivi dell’impresa: il pagare il costo del lavoro il meno possibile e il poter licenziare in modo facile e automatico per ridurre il cosiddetto rischio di impresa. Il primo obiettivo è raggiunto facilmente dal poter scrivere contratti che esulano dai CCLLNN.
Il secondo viene dato alla scadenza dei contratti che non prevedono automatismi di rinnovo, bensì di licenziamento a scadenza.
Inoltre la precarietà sottopone il lavoratore ad un processo di selezione basato sulla sottomissione e spesso su l’autosfruttamento. Ogni contrattista in scadenza sta buono e zitto, subisce passivamente ore di straordinariato volontario nella speranza di vedersi rinnovato il contratto.
La totale estromissione dalla sfera delle minime tutele sindacali raggiunte in oltre un secolo di lotte, crea un esercito di lavoratori che non conoscono talvolta neppure i propri diritti. Ma che sono sottoposti ad un bieco sfruttamento alla luce del sole e senza sollevare a livello sociale neppure tropi dubbi di liceità.
Per capire perché la precarietà sia divenuta endemica, dobbiamo esaminare il fenomeno sul suo nascere e dove si colloca esattamente nel ciclo di produzione economico attuale. Ed a quale modello produttivo si ispiri e si sviluppi.
Questa relazione terrà di conto dell’analisi effettuata da Luciano Gallino nel suo libro Il lavoro non è una merce. E cercherà di dare ulteriore spunti di analisi e proposta per l’organizzazione sindacale.
 Nell’introduzione al libro Gaiani scrive “Gallino è implacabile nel rilevare come la diffusione del lavoro flessibile abbia avuto origine da precise scelte di ordine politico ed economico ed abbia prodotto a sua volta delle ricadute di ordine politico ed economico che hanno di fatto realizzato gli obiettivi che si erano prefissi coloro i quali hanno teorizzato e diffuso il modello del lavoro flessibile. In questo senso, alla base di tutto, c’è l’idea della possibilità di pianificare l’utilizzo del lavoro umano come quello delle altre voci del bilancio d’azienda, di fatto riducendolo a merce (che è esattamente quanto i testi internazionali e quelli nazionali, a partire dalla Costituzione repubblicana, raccomandano di non fare), ampliandone la domanda nei momenti in cui cresce la domanda del prodotto finito e diminuendola nel momento in cui la domanda decresce.”.
La precarietà e le sue 43 tipologie contrattuali nascono tutte nel ciclo ultraliberista degli anni 80/90 che ha visto il trionfo di ideologie quali la Jobless prosperity (teorizzata dal precedente presidente della Banca degli Usa, Alain Greenspain) dove alla diminuzione del lavoro doveva corrispondere un diffuso benessere sociale dovuto alla abilità tecnologica delle comunicazioni che velocizzavano il ciclo di produzione a tal punto da poter permettersi di assecondare il modello toyotista della produzione su misura o giusto in tempo il famigerato modello just in time.
Di fatto l’unica assenza di lavoro che abbiamo conosciuto e stata jobless powerty.
Il just in time è quel tipo di produzione che non richiede una produzione di scorte bensì di produrre quello che serve appena in base alle commesse. Questo di conseguenza da un lato ha parcellizzato la produzione, ma legandola sempre più strettamente ad una catena di effetti tipo domino ed uno dei principali prodotti di questo modello è appunto la nascita del lavoratore just in time: quanti ne servono se ne usano, altrimenti non se ne fanno-leggi non rinnoviamo i contratti- con il massiccio uso di contratto flessibile finalmente si avvera il sogno di ogni padrone:
addio difficili vertenze per licenziare qualcuno. Il contratto scade non si rinnova. Così il numero degli impiegati sarà sempre congruo alle necessità della produzione.
Molti sostenitori di questo modello asseriscono che l’occupazione grazie a queste misure sarebbe in crescita. Niente di più falso poiché gli indicatori su cui si misurano gli occupati risultano essere sulle ore lavorate dal singolo nella settimana precedente alla rilevazione statistica a campione.

Di sicuro a livello macroscopico possiamo certamente constatare che la flessibilità si pone a pieno titolo nel contesto della globalizzazione o internazionalizzazione imperialistica come arma ricattatoria nei confronti dei lavoratori. “La flessibilità funge da mezzo di comunicazione: è un modo per far sapere a coloro che stanno meglio che nel caso non acconsentano a ricevere salari calanti…il lavoro andrà in misura crescente a chi sta peggio” sia nel contesto nazionale che mondiale vedasi le sempre costanti dislocazioni produttive nei PVS o le crescenti esternalizzazioni dei servizi. Di fronte a tali fenomeni i sindacati sono rimasti nella migliore delle ipotesi impreparati, perché nel mercato mondiale l’eccesso di forza lavoro a basso costo ha prodotto una concorrenza al ribasso tra i lavoratori al di fuori dei diritti storicamente sedimentati e acquisiti.  
I lavoratori a tempo indeterminato stanno subendo una costante erosione dei propri diritti e salario. Per impedire che il livellamento avvenga ai gradini bassi della scala mondiale debbono assolutamente porsi il problema di eliminare la piaga e il ricatto costituito da un esercito di lavoratori flessibli in crescente aumento.
Alcune valutazioni e proposte da rivolgere al sindacato.
Valutare la possibilità di trasformare il vecchio Nidil dove ancora esiste in un vero e proprio dipartimento studio analisi ed elaborazione strategica sulla questione flessibilità-atipicità. Che collabori poi con le singole categorie fornendogli appropriati strumenti di analisi e di prassi.
Se non possibile tale, creare almeno un coordinamento stabile nazionale dei lavoratori precari in ogni categoria e a livello confederale. Modello Flc.
La costituzione di una seria anagrafe del lavoratore flessibile, e delle risorse umane ad essa connesse. Promuovere il contatto e l’organizzazione di tutti i militanti delle strutture sparse e parcellizzate sul territorio.
Promuovere campagne affinché tutti i contratti flessibili atipici non strutturati godano al pari degli strutturati delle stesse tutele e stessi diritti la dove siano presenti ad esempio mense, buoni pasto, asili aziendali.
La possibilità di attingere alla cassa integrazione. Le casse dei parasubordinati ad esempio sono in buonissima salute.
Costruire campagne culturali mirate ai compagni, militanti e semplici lavoratori strutturati appartenenti alla OS.  Per sensibilizzazione alla solidarietà verso l’altra metà del cielo.
Mobilitarsi per la stabilizzazione dei non strutturati e al tempo stesso cercare di rendere meno concorrenziale il rapporto tra di loro.
Promozione di una “quota precario” tra i funzionari sindacali attivi, garantendo anche ai precari, attraverso la fruizione dei permessi sindacali, l’accesso ad incarichi sindacali negli organismi dirigenti delle categorie di appartenenza evitando forme di distacchi sindacali che potrebbero favorire impegni strumentali e burocratismo. Cercare di creare una filiera di controllo sul prodotto che certifichi/attesti l’impiego di manodopera non sfruttata/precaria.


1 introduzione al libro Il lavoro non è una merce

2 Ibidem

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